Riconosciuta la responsabilità medica per errata diagnosi al quarantenne fumatore visitato dal medico di guardia dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanissetta. A seguito di forti e persistenti dolori al torace, il sanitario diagnostica all’uomo uno stato d’ansia da stress in luogo di un inizio di dissecazione dell’aorta. Segue un’incauta dimissione che determina la morte del paziente. Il medico viene condannato per omicidio colposo (Corte Suprema di Cassazione, Sez. III, Sentenza n. 19372/2021 del 07/07/2021).
La moglie e i figli del paziente deceduto citano in giudizio l’Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanissetta e il medico della Guardia Medica. Evidente, a loro avviso, la responsabilità medica per errata diagnosi. I famigliari chiedono la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti in seguito alla morte del proprio congiunto.
La domanda dei congiunti viene respinta in primo grado, ma trova accoglimento in appello. La Corte d’Appello di Caltanissetta riferisce infatti che la CTU dà prova della condotta negligente del medico. Tale negligenza è ravvisabile non tanto nell’omessa diagnosi di dissecazione aortica, bensì nella mancata prosecuzione dell’iter diagnostico. Di fronte a una sintomatologia persistente, il sanitario avrebbe dovuto infatti richiedere un approfondimento clinico-strumentale utile ad accertare la natura del dolore.
Responsabilità medica o del paziente?
Nel rivolgersi alla Corte Suprema, il ricorrente invoca il principio di autoresponsabilità secondo cui il medico di guardia non risponde della morte del paziente, visitato e dimesso, che non ha rispettato le prescrizioni impartitegli provvedendo egli stesso a un esame diagnostico in caso di persistenza dei sintomi.
Con la sentenza n. 19372/2021, la Corte Suprema di Cassazione evidenzia l’infondatezza della pronuncia d’appello impugnata dal medico. Pronuncia peraltro fondata su una sentenza del tutto inconferente al caso in esame. Osserva quindi la Corte Suprema il medico avrebbe dovuto farsi carico dell’esame diagnostico, come misura di cautela, disponendolo anche presso una struttura apposita ove non effettuabile in loco. Stabilisce, infatti, la Suprema Corte che “Di fronte ad una sintomatologia compatibile con più patologie, il sanitario non deve limitarsi a suggerire al paziente ulteriori accertamenti diagnostici, ma deve disporli egli stesso, a pena di responsabilità in caso di dimissioni e conseguente morte del paziente.”.